28 maggio 2013, ore 03.12: la radio passa un brano di RAM, dei Daft Punk. La canzone s’intitola Instant Crush. La canta Julian Casablancas degli Strokes. E io mi domando: perché proprio Casablancas e perché in un disco che è una raccolta “storica”, di musica riproposta, frutto di grosse collaborazioni e suonata con gli strumenti? Col loro Random Access Memories, infatti, i Daft Punk dimostrano di essere dei musicisti, non solo dei DJ. La canzone è di un electro-pop abbastanza gradevole, e quel vocoder che trasforma la voce di Casablancas mi aiuta a sopportare il suo registro in falsetto. Comunque il mio sbadiglio è largo, forse perché sono le tre di notte, forse non solo per questo.
Anche se, lo confesso, Bach – più o meno come Julian Casablancas che canta con il vocoder – mi ha sempre indotto il sonno, anche in versione sintetica.
Quando avevo 5 anni pensavo che Bach fosse francese: lo assimilavo al Barocco Francese (lo stile architettonico del quale avevo già sentito parlare, non so come, né bene quando, né perché) e perciò mi confondevo. Poi qualcuno mi spiegò che Bach era stato un musicista tedesco, come i Kraftwerk.
Uno dei capolavori del rock, in assoluto una delle mie canzoni più amate, è nato nel 1971 dal genio del suo compositore. Anche lui usa un sintetizzatore: un ARP, non il moog, ma mica per arrangiare il pezzo, no! Quelle note riprodotte da un ARP strutturano il pezzo e danno vita a una intro indimenticabile (o inarrivabile). Da bambina ascoltavo questa canzone almeno 20 o 30 volte al giorno: quando avevo 7 anni infilavo il 45 giri nel mio mangiadischi portatile arancione; quando ne avevo 12 riproducevo il brano registrato su una cassetta, attraverso il mio walkman. Una volta, quand’ero piccola, partii e mi fermai per un lungo periodo in Francia. Portai con me il mio mangiadischi ma, al mio ritorno in Italia, lo dimenticai là, a Saint Priest, probabilmente nella fabbrica della Renault che avevo visitato, accompagnata da uno zio che ci lavorava.
Il genio che inventò quel magico inizio per la canzone, lo fece come tributo al musicista Terry O’Riley. Lui si chiama Pete Townshend e non è francese (è inglese). Buonanotte (e buongiorno) ai francesi, a chi non lo è e a chi o cosa lo è diventato oppure lo è stato per poco.