Merle Travis prese questa canzone popolare e disse che un debito così spietato è impossibile da pagare, anche col lavoro duro. Il testo racconta di un sacrificio insufficiente e di una vita intera che non basta per colmare il debito (quando chiede a San Pietro di aspettare a chiamarlo in paradiso, perché l’operaio ha la necessità di lavorare fino all’ultimo attimo della sua esistenza per riportare le cose a posto). Nel nostro caso, diremmo che l”impossibilità di colmare il deficit derivi dallo spreco (dallo spread, dalla burocrazia…), dalla cattiva gestione delle risorse disponibili, dai tagli orizzontali e ciechi, dal carico fiscale che si abbatte sulle tasche di chi, di denaro, ne ha già poco, da quell’asfissia e dalla morte momentanea che siamo costretti a sopportare per colpa del blocco della crescita (perché il PIL riprenderà a salire solo nel 2013). Eppure i sacrifici sembrano il male necessario per salvare il nostro futuro: un futuro che forse non è neanche il nostro ma di chi verrà dopo di noi in un’Italia che continua inesorabilmente a sgretolarsi, a disperdere progressi e risultati, successi e cultura.
16 Tons parla del concetto di debito come colpa da espiare, da ripagare con il duro lavoro. Oggi il debito è stratificato ed è legato al cattivo funzionamento del sistema economico e della politica (dei ladri, dei “condoni” e dei mafiosi non parlerò in questo post), all’incapacità di trovare un rimedio efficace che rappresenti quella svolta che dia un nuovo corso alle cose.
Perché oggi, purtroppo, non si ragiona più in senso prospettico: si finge di pensare al futuro per negare l’incapacità del presente. Si finge di pensare ad un domani migliore – che dovremmo impegnarci a costruire, adesso, subito – e ci limitiamo ad esercitare il nostro sguardo corto sull’emergenza, come se, con un semplice gesto, potessimo arginare l’uragano. Io, che non sono una statista né un’economista, non possiedo la ricetta per uscire dalla crisi: se ne esistesse davvero una, facile e immediata, forse chi ci governa l’avrebbe già applicata e saremmo fuori da questa atroce situazione.
Ma nonostante i limiti vorrei che si configurasse un presente capace di rappresentare una sorta di “New Deal” delle idee e delle progettualità,che sappia superare l’ostilità debilitante e la paralisi, che sappia correggere questo strano errore cognitivo che ci fa credere che, pensare al futuro, significhi semplicemente sperare di vivere meglio domani – mentre smettiamo di farlo oggi – senza impegnarci per vivere meglio giorno dopo giorno -senza soluzione di continuità tra presente e futuro – perché soltanto così è possibile costruirci un domani migliore: l’avvenire.
Il debito accumulato non si colma prendendo risorse dove non ci sono e impiegandole dove non possono fruttare.
Lo sforzo comune,poi. è nullo se non diventa davvero comune e misurato sulle possibilità di ognuno.
Domani,vedremo cosa avremo fatto del nostro domani.