Auschwitz: ascoltando la voce del bambino nel vento

Oggi, 27 gennaio 2021, mezzogiorno. La televisione irrompe nella mia giornata con immagini, filmati, storie di deportati nei lager, ripudio del razzismo e delle ideologie che si fa richiamo alla responsabilità per il futuro, affinché la memoria sia da insegnamento, affinché l’orrore del totalitarismo non si affermi ancora, violentando  l’umanità. Il Presidente della Repubblica Mattarella definisce il nazismo come un  “atroce paradosso”, una pulsione autodistruttiva dell’uomo che va contro sé stesso. Il Papa avverte il mondo dicendo: “Dobbiamo stare attenti, ricordare come tutto questo è cominciato, affinchè un popolo non prevalga più su un altro popolo” e l’orrore non si riproponga. Si moltiplicano i programmi di storia e cultura, le trasmissioni sulla shoah. Si torna a visitare i luoghi della memoria. Nei social network il thread  preferito è il diario di Anna Frank, i video con le testimonianze di Liliana Segre, deportata ad Auschwitz, sono sempre un pugno allo stomaco che ti scuote, come quelle fotografie di condannati, volti ed identità sfigurate dietro barriere di filo spinato. Un paese in crisi, un governo in crisi, un mondo in crisi succube della pandemia: morti di coronavirus e nuove povertà trasformano la vita  in questo momento in un nuovo scenario di guerra. Ma siamo invitati a chiamare le cose col proprio nome, per impegnarci a non far tornare sull’Europa lo spettro delle dittature più atroci. Ma su tutto questo, la voce del bambino nel vento grida ancora forte e ci ammonisce. Ci dice d’essere morto, ci dice d’esser polvere nel vento che grida. Affinché la memoria non sia fine a sé stessa, per far sì che quella di Francesco Guccini non sia semplicemente una bella canzone, quel bambino ci chiede di non farlo e rifarlo morire ancora, perché la sua voce si placherà solo quando l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare.

Pubblicato da musicheculture

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