Jovanotti: demagogia pop, caduta creativa e suadente persuasione mediatica

Uno dei migliori cantautori italiani del momento, con le rime odiosamente baciate e banali ed una macchina mediatica e di marketing così abilmente costruita da non farlo sembrare ciò che è con questo ultimo disco: un venditore di fuffa. E’ vero che il ragazzo che ha introdotto il “gimme 5” come moda per gli italiani, quello di serenata rap – pezzo straordinariamente originale – e dal buonismo quasi commovente adesso è cresciuto, trasformandosi in uno dei cantautori  più raffinati del panorama italiano. Ma questo ultimo disco segna davvero una battuta d’arresto, se non proprio un’involuzione. Ripensando poi a quella tendenza latente che ha sempre caratterizzato il buon Lorenzo – il desiderio (ormai esaudito) di trasformarsi in una specie di eroe nazional-popolare -, non posso fare a meno di ripensare proprio al brano più brutto di questo album doppio: la notte dei desideri, col suo video “ruffiano” (vedi post precedente), le sue rime baciate (alcune sono alternate ma banali tanto quanto le prime), il suo “easy listening alla buona” con quale cattura l’orecchio dell’ascoltatore come la musica pop di basso livello. La musica (non solo quella dance) è irritante in quasi tutti i pezzi che ho ascoltato e si lega malissimo ai testi sempre più articolati e sofisticati “alla Jovanotti”. Un album decisamente inutile, così come inutile e maldestro è il tentativo di venderci la speranza e l’ottimismo in sogni preconfezionati dall’emerito cantautore e dalla macchina del marketing che è alle sue spalle e che comprende anche la ruffianeria del battage pubblicitario costruito su misura dai media. Non so se posso ancora pensare a Jovanotti come ad una specie di De Gregori per la sua raffinatezza letteraria (perché, per tutto quanto il resto c’è un’enorme distanza) e non so nemmeno se sia giusto etichettarlo come un nuovo cantautore nazional-popolare alla Lucio Battisti (visto che almeno Lucio era geniale, creativo e romanticamente sincero, molto più sincero di quanto mi appare oggi Jovanotti), ma ciò che vedo in questo disco è l’arte del  rimescolamento privo di idee musicali valide. Insieme ad un tentativo di voler interpretare una realtà nazional-popolare che  appartiene al nostro immaginario collettivo di Italiani. La canzone dei desideri è sicuramente emblematica sotto il punto di vista simbolico. Il dico è brutto ma buono per evadere dalla realtà. Io, che sono profondamente cosciente della realtà in cui vivo e del valore dei miei sogni e del denaro che ho, non acquisterò questo CD. Dunque spero che nel prossimo suo lavoro Jova riacquisti creatività, che non smarrisca la strada che ha intrapreso: quella di coniugare elettronica e canzone d’autore. Ma che lo faccia con una maggiore sincerità, ritrovando la sostanza dell’arte: se riuscirà a farlo, sarò lieta di re-includerlo nel gruppo degli artisti di talento che possono rappresentare l’immaginario nazionale. Per ora temo che il Cherubini sia un po’viziato dalla demagogia del pop e dalla suadente persuasione del marketing. Poiché penso che per “ORA” sia il caso per Lorenzo di andare a zappare la terra.