Lo sperimentalismo vocale di Diamanda Galas

Nel 2005 arriva in Italia e ritira il premio “Demetrio Stratos” per la ricerca vocale. Lei è famosa per aver rivoluzionato il concetto di canto unendo la sua espressività da ossessa all’elettronica e a un perfetto controllo sugli armonici della voce. Con l’ex cantante dei Ribelli aveva in comune anche le origini greche. Ma Diamanda Galas, nata a San Diego (Stati Uniti) nel 1955, è stata una scoperta del Living Teathre, l’avanguardia newyorkese, che negli Anni Settanta la ingaggiò per un tour nei manicomi, perché le sue performances vocali – pare – potessero sortire effetti terapeutici. Le sue grida convulse, sataniche, isteriche e opprimenti sembrano un incrocio fra tragedia greca, liturgia satanica e seduta psicanalitica, al limite tra l’espressione del sub-conscio e la trivialità. E dovevano avere un certo effetto liberatorio anche su di lei, affetta com’era da una vita sofferta e dissipata tra droghe, lutti, attacchi d’isteria masochistica e molteplici esperienze sessuali. Wild Women With Steak-Knives è un assolo di 12 minuti. Spettacolare. Di una difficoltà estrema. La costringe a sforzi vocali sovrumani. E’ abominevole ed agghiacciante ma sta proprio qui la sua perfezione. Si ispira al pianto e all’orrore di Medea e cita i versi maledetti di Baudelaire. Non c’è accompagnamento strumentale, ma solo voce, usata ai limiti del sovrannaturale.

Educata in conservatorio, conosce la vocalità della Callas ma trasfigura tale perfezione per esecuzioni da film dell’orrore. Ma è un’artista consapevole della sua tecnica che perciò non lascia nulla al caso. Nel secondo album, le urla di dolore e di disperazione sono al limite del collasso nervoso ed hanno un sapore politico, poiché l’intero disco è dedicato alla tragedia della dittatura greca. Tragouthia (1981) è un requiem ascendente e allucinato. Con Panoptikon (1984) Diamanda Galas mette in scena la sua voce acutissima ed estesa (fino a 4 ottave), distorta in modo maniacale, è amplificata dall’elettronica. Gli effetti speciali prodotti dalle tastiere sono incredibili. Eyes Without Blood (1985) segue le stesse attitudini dei brani precedenti, ma si spoglia dell’elettronica (è un altro assolo vocale), per tingersi dei colori macabri del sesso sadico e necrofilo. Divine Punishment (terzo album) è una parafrasi medievalistica delle Sacre Scritture. Ma l’esoterismo e la blasfemia regolano l’espressione di anatemi osceni e invocazioni demoniache. C’è lìaltra faccia dei salmi gregoriani in Deliver Me From Mine Enemies, una suite in sei movimenti,dove, oltre a proverbi ebraici e lamentazioni ellenistiche, si possono scorgere delle frasi recitate in italiano arcaico:l’angelo del male enuncia il suo catechismo della perdizione eterna, il nichilismo e l’inferno trionfano sulla terra celebrati dal coro di anime agonizzanti. La cantante non dimentica ovviamente una doverosa citazione dell’ anticristo (in Free Among The Dead), ma è una metafora apocalittica che esprime il dolore di un’umanità afflitta dall’AIDS. L’ispirazione le viene dalla tragica morte del fratello, il poeta Philip Dimitri Galas, colpito dalla malattia. Con l’esperienza dolorosa del lutto, Diamanda incentra la sua produzione sulla ricerca simbolica dei perché l’umanità sia colpita da così tante tragedie. Concepisce la trilogia Masque of the Red Death (1989), Plague Mass (1990), profana messa per un’umanità condannata, e Vena Cava (1992), ritratto dell’isolamento e della crescente disperazione di un individuo sieropositivo. Negli ultimi anni alterna una produzione di cover blues (riletture di standard per piano e voce) a progetti compositivi più complessi come l’ultimo Defixiones Will and Testament, che tratta del genocidio delle popolazioni armene, greche ed elleniche da parte dei Turchi, durante la prima guerra mondiale, raccogliendo testi e ispirazioni musicali disparate. L’elettronica cede il passo al pianoforte. Qui è in una performance in coppia con John Paul Jones: E’ un ascolto decisamente liberatorio!