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Un tuffo negli Anni Ottanta e adolescenziali, vissuti in Corea, il valore dei legami forti – gli affetti familiari – ma, soprattutto, l’importanza del credere con tenacia nei propri sogni, per perseguire i propri obiettivi seguendo la strada già tracciata dalla propria identità e dalle aspirazioni personali.
Miracle, film coreano che ha debuttato nelle sale cinematografiche italiane lo scorso 23 marzo, è una commedia ispirata a una storia vera che coinvolge lo spettatore parlando direttamente ai suoi sentimenti.
Il ritmo lento del film, almeno nelle prime battute, è caratteristica comune al cinema asiatico al quale lo spettatore occidentale è poco abituato, ma aiuta a entrare con cuore e curiosità in quest’ambientazione passata che dà l’idea della costruzione del futuro.
Joon-kyung (Park Jung-min), studente liceale nonché genio della matematica, ha un forte legame col passato e le proprie radici, allo stesso tempo, è proiettato verso il suo futuro che probabilmente realizzerà lontano da casa.
Al centro del racconto vi è la costruzione di una stazione ferroviaria in uno sperduto villaggio di montagna del Sud della Corea.
Ma il viaggio e la costruzione delle cose possono essere letti anche come una metafora della costruzione di sé e della propria vita.
All’interno di una commedia leggera e sentimentale trovano spazio la profondità degli affetti e toni comici e grotteschi, appena accennati ma significativi, in un contesto rurale che si confronta anche col progresso – la ferrovia, un semaforo – e la cultura delle immagini occidentale, soprattutto in un finale che non vogliamo svelare.
Miracle, diretto da Jang-Hoon Lee, insomma, è un film di formazione.
Vince il premio come miglior film per le scuole in Corea nel 2022, ma è adatto a tutti, tranne a coloro che abbiano smesso di credere che, attraverso la lenta ma costante costruzione della propria vita, partendo dai sogni, sia possibile concretizzare grandi e piccoli miracoli.