Canterò le mie canzoni per la strada…

7 ottobre 2002: muore Pierangelo Bertoli. A dieci anni di distanza, lo ricorda il corregionale Ligabue; Claudio Baglioni ne interpreta, con gli altri, una canzone dal palco del concerto per l’Emilia; il figlio Alberto lo racconta in alcune interviste, descrivendolo come un uomo granitico e logorroico, ritrovando spesso l’umanità del genitore nella dimensione musicale. “A muso duro”è per me una sorta di manifesto programmatico del cantautore di Sassuolo, la forza del passato che ti dà consapevolezza di vita e la spinta verso il futuro che ti fa apprezzare di vivere, nel bene e nel male, con coraggio. Una canzone corale profonda e tenace, tra le più belle che siano mai state scritte in Italia, che amo e che mi emoziona tantissimo. L’ho ricordato grazie ad una conversazione in treno, oggi pomeriggio, mentre le sue canzoni venivano emblematicamente associate ai Batman, ai ladri e alla corruzione politica di questi anni. In questa “pubblicità progresso” evidenziava i limiti e l’inciviltà del mondo.

Pubblicato da musicheculture

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4 Risposte a “Canterò le mie canzoni per la strada…”

  1. uno dei massimi cantautori, peccato che la kritika ke konta non lo abbia mai elevato al rango che merita e debba essere incensato da un ligabue qualsiasi, ad ogni modo bravo luciano e brava giuseppina!

  2. Grazie Stefano. Il fatto è che i testi di Bertoli spesso risultavano scomodi e la critica non voleva complicarsi la vita. Non tanto per il fatto d’essere comunista (perché lo sono stati anche altri cantautori modenesi, primo fra tutti, Guccini), quanto per le sue chiare prese di posizione su questioni etiche e contro la Chiesa: pensa alla canzone “Certi momenti” del 1981 e a “Italia d’oro” uscito in piena epoca-tangentopoli. Oltre alla critica sociale però, Bertoli cantava anche canzoni d’amore e riscopriva le radici, componendo canzoni in dialetto modenese: penso che sia stato un po’ come un De André dell’Emilia Romagna, anche se aveva un approccio stilistico diverso e non sempre componeva canzoni memorabili, ma era uno che sapeva andarci duro, pesante e diretto con le parole. Rispetto ai cantautori di vecchia scuola, in moltissimi non l’hanno accettato. Prendiamo per esempio un De Andrè o un Guggini: rappresentano la poesia, la denuncia sociale e la letterarietà, con tanto di metafore e di “finzioni letterarie”. Bertoli invece è i tabù dell’Italia: è tutto quello che non si vorrebbe vedere, ammettere, raccontare che emerge senza mezzi termini, in maniera schietta e plateale, sebbene la sua produzione musicale abbia conosciuto alti e bassi. Come dire: gli altri cantautori di scuola emiliana e modenese (anche Dalla) erano poeti. Bertoli era uno che dava fastidio…

  3. Concordo sul fatto che la produzione musicale di Bertoli abbia conosciuto alti e bassi: alcune sue canzoni (ma anche quelle non sue e da lui incise) non sono proprio memorabili, altre invece sono dei capolavori. E, prime fra tutte, quelle contenute in “Italia d’oro”e “Eppure soffia”. Non condivido invece la questione della critica: non mi sembra che Bertoli fosse stato bistrattato più di tanto: perfino il pubblico e la critica sanremese sono stati generosi (forse troppo) con gli apprezzamenti. Resto però convinta che, al di là della diversità del linguaggio, la sfrontatezza di Bertoli l’ha reso un grande cantautore. Molto più vicino a Guccini che a De Andre, e non soltanto per la militanza politica e la città di nascita: i temi delle canzoni, le musiche, ecc, sono quelle tipiche dei cantautori di vecchia generazione e di provenienza emiliana.

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